Se la formazione di un organismo è definita sviluppo, la rigenerazione è il tentativo di ripercorrere quei passi della genesi allo scopo di riformare, nuovamente, una parte di sé venuta a mancare a causa di un trauma. In realtà, per rigenerazione possiamo intendere molte cose e ogni organismo lo fa continuamente, attraverso processi di rinnovamento dove cellule di nuova formazione sostituiscono cellule vecchie e malandate. Anche la riproduzione tra individui è considerata rigenerazione e questo è molto ovvio se pensiamo alle piante, ma dev’essere ugualmente ovvio anche per noi uomini benché ci mescoliamo confusamente, perché i nostri figli non sono altro che la nostra metà rigenerante la quale, completandosi con qualcun’altro, sviluppa un organismo per metà identico a sé. La rigenerazione è l’equilibrio sopra cui poggia l’esistenza di tutti: senza di essa non ci sarebbe la vita, ma se tutto rigenerasse non ci sarebbe nemmeno la morte.
Alcuni scienziati dell’Università dell’Arizona hanno scoperto, di recente, che gli alligatori sono in grado di far ricrescere la coda. Sebbene non sia una novità per i rettili (si pensi alle lucertole), la rigenerazione della coda negli alligatori è una notizia sorprendente, dovuta principalmente alla rarità dell’evento, dato che nessuno si azzarderebbe a mutilare uno dei predatori più feroci che esistono in natura. Lo studio è stato effettuato su alcuni esemplari giovani, liberi nel loro ambiente naturale, che avevano subito traumi di origine sconosciuta, ma probabilmente imputabile ad aggressività tra individui della stessa specie, cannibalismo o eventuali incidenti causati da barche a motore. I risultati hanno evidenziato una ricrescita completa della coda, che costituisce, in media, dal 6 al 18% della lunghezza totale dell’animale, con alcune differenze rispetto a quella originale: le vertebre distali sono sostituite da un endoscheletro non-segmentato e la muscolatura, assente, è completamente rimpiazzata da tessuto fibroso. Si tratta di un processo più simile alla riparazione tissutale dei mammiferi, che non sono così efficienti nella rigenerazione, ma che ricorda, in scala macroscopica, la crescita degli arti che avviene con sorprendente facilità in animali come il pesce zebrafish, la rana xenopus o la salamandra axolotl – tutti organismi diventati modelli per la rigenerazione e ampiamente studiati dai ricercatori.
L’axolotl è una simpatica salamandra che popola il lago Xochimilco in Messico, anche se è possibile vederne qualche esemplare pure in Italia, presso l’acquario di Calci. Oltre a disporre di un sorriso disarmante, l’axolotl è dotato della capacità di poter far ricrescere completamente le proprie zampe dopo amputazione, ma anche rigenerare polmoni, midollo spinale e parti del suo cervello. Si tratta di un’abilità unica, che pone la salamandra sotto la lente di ingrandimento dei laboratori, al fine di scoprire i segreti della rigenerazione e sfruttarli per renderci immortali, o quasi. L’uomo, infatti, come tutti i mammiferi, non è propriamente in grado di rigenerare. A seguito di un trauma o una patologia, i tessuti sono in grado di innescare processi riparativi mediati da un sistema immunitario altamente complesso. In una situazione di stress, l’infiammazione è in grado di concertare il necessario al fine di ripristinare la funzione del tessuto e di ricostituirne la struttura, ma in quasi tutte le occasioni ciò avviene attraverso la formazione di una cicatrice, o – più precisamente – fibrosi, una sorta di riparazione provvisoria che non sempre scompare e impedisce la ri-formazione completa di organi, appendici e strutture complesse.
La verità è che abbiamo perso qualcosa per strada. Animali meno evoluti di noi rigenerano meglio di noi e il motivo rimane oscuro alla scienza. In assenza di risposte convincenti, possiamo sempre dare la colpa alla pressione evolutiva. La capacità di sopravvivere perdendo una zampa o una coda può sottendere un meccanismo di fuga, nel quale la malcapitata preda lascia un pezzo di sé al suo aguzzino per sgattaiolare via verso la salvezza. Con calma, una volta al sicuro, l’organismo è in grado di ripristinare il pezzo mancante con qualche piccolo svantaggio dovuto a un minor sex appeal e a un bilanciamento energetico completamente a scatafascio. Forse l’uomo, e in generale il mammifero, ha trovato inaccettabile il sacrificio di una parte di sé per la fuga o forse, più ragionevolmente, l’evoluzione ha spinto verso la selezione di tratti più importanti della rigenerazione. Al momento, con le conoscenze a nostra disposizione, il dito è puntato contro l’immunità adattiva, il processo fisiologico che forse rappresenta il più alto gradino dell’evoluzione biologica, ovvero la capacità di generare risposte immuni specifiche contro agenti esterni, come virus o batteri, nel loro atto di aggredire l’organismo. Le salamandre e le altre bestiole rigeneranti dispongono solo dell’immunità innata, ovvero di un allarme generico che entra in funzione in caso di invasione di agenti infettanti e combatte armato di un arsenale non specifico e ridondante. Forse, rigenerazione e immunità adattativa sono mutualmente esclusive e l’evoluzione – intesa come selezione di organismi dominanti – ha trovato preferibile un sistema di difesa microscopico rispetto alla scenografica capacità di far ricrescere mani, piedi e viscere di varia natura in stile Wolverine.
La riparazione tissutale nell’uomo è un fenomeno complesso ed estremamente eterogeneo a seconda dei differenti distretti anatomici, che potrebbe migliorare alla luce delle scoperte fatte sui modelli animali studiati per la rigenerazione, come il simpatico axolotl. Un lavoro recente proposto dalla Duke University, ad esempio, dimostra l’analogia tra alcuni miRNA (piccole molecole regolatorie), che nelle salamandre guidano i processi di ricrescita delle appendici, e altri miRNA presenti nella cartilagine articolare dell’uomo, un tessuto considerato incapace di rigenerare e condannato a una lenta, progressiva e inesorabile degenerazione. Se da una parte può sembrare il residuo vestigiale di un’abilità persa, dall’altra rappresenta un indizio molecolare in grado di sconvolgere le nostre convinzioni, perché questi miRNA sono davvero in grado di avviare processi riparativi perfino nella cartilagine e sono più efficaci nella caviglia piuttosto che nell’anca (secondo la stessa logica per cui, in una salamandra, è più veloce a rigenerare una zampa, piuttosto che l’intero arto).
La rigenerazione è a tutti gli effetti un tratto ancestrale che gli uomini non possiedono più. Richard Goss scriveva così nel suo libro “Principles of Regeneration”, edito nel 1969:
“Pare che la rigenerazione non sia necessariamente adattiva, ma che sia scomparsa o che abbia lasciato residui man mano che si sono evoluti altri attributi fisiologici più importanti con cui essa può essere stata o meno incompatibile. Di conseguenza, prima che si tenti in modo intelligente di ripristinare la rigenerazione, dove normalmente non avviene, sarà necessario imparare quali vantaggi fisiologici hanno avuto la precedenza sulla rigenerazione nel corso della selezione naturale.”
Di modi e tentativi intelligenti, oggi, ne abbiamo molti. Dalle iPS cells di Yamanaka alla terapia genica al servizio della rigenerazione; tutta la ricerca sul mondo delle cellule staminali e dei meccanismi molecolari della rigenerazione ha fatto passi da… salamandra. Come ci avverte Goss, però, va interrogato il motivo per cui i mammiferi, tra cui l’uomo, hanno perso questo tratto speciale e quali sono i reali vantaggi della sua scomparsa. La rigenerazione potrebbe salvarci da mutilazioni, ma ancora più sorprendentemente dall’invecchiamento e da qualsiasi patologia che, danneggiando un tessuto, ne fa perdere la sua importante funzione. È impossibile negare l’utilità della rigenerazione, ma come influenzerà il nostro destino questo tratto ancestrale perduto quando torneremo a domarlo?
Questo articolo fa parte della rubrica Il fuoco di Prometeo