Back in the days, l’epigenetica era un aspetto della biologia cellulare che mi affascinava terribilmente. Come individui, siamo abituati a consideraci il frutto di genetica e ambiente, in una fuga dal riduzionismo che vede nelle variabili esterne a noi l’unica luce capace di cancellare l’oscuro determinismo. Perché se fossimo solo DNA, tutta la nostra vita sarebbe predeterminata e, senza scomodare coscienza e libero arbitrio, la sola entropia guiderebbe i risultati di noi esseri multi-macromolecolari. Tuttavia, l’epigenetica offre uno spunto metaforico interessante: noi non siamo solo DNA, ma anche l’influenza dell’ambiente che ci circonda. I cambiamenti metabolici, lo stress cellulare, l’assunzione di farmaci possono regolare l’espressione del DNA in maniera reversibile e senza alterarne la sequenza.
Se siamo abituati a pensare che il genoma di un organismo rappresenti il codice che esprime le sue caratteristiche, cadiamo nello sconforto quando scopriamo che, nell’uomo, solo l’1,5% di DNA è rappresentato da geni, ovvero sequenze in grado di codificare per delle proteine; tutto il resto (la quasi abbondante totalità) è junk DNA: in un certo senso, siamo oscuri tanto quanto l’universo.
In realtà, il DNA non codificante non è realmente junk, ma questa è un’altra storia. Concentrandoci sul misero 1,5% di basi azotate che esprimono ciò che siamo, scopriamo che il DNA può essere regolato fino a essere silenziato. Si tratta di un processo fondamentale che permette alle cellule di avere funzioni diverse pur condividendo lo stesso genoma: una cellula della cute ha lo stesso DNA di una cellula dello stomaco, eppure quest’ultima produce acido cloridrico. Sarebbe divertente produrre acido cloridrico sulle nostre mani e accarezzare chi ci sta antipatico, tuttavia non possiamo a causa dei modificatori epigenetici (e.g. metilazione del DNA, modifica degli istoni). Questi dicono alle cellule cosa essere e come comportarsi ogni secondo della loro esistenza.
In una certa misura, la regolazione epigenetica ha caratteri ereditari. Questo significa che le cellule possono conservare memoria dell’ambiente ed ereditare dalle generazioni precedenti non solo la sequenza di DNA, ma anche la sua regolazione. Ed è per questo che back in days contemplavo con fascinazione l’idea che l’inquinamento atmosferico e una dieta fatta di cheeseburger potessero impattare sulla qualità della mia vita a un livello così profondo da poter diventare il mio epigenoma ereditabile.
La confessione circa le mie fantasie aveva lo scopo di introdurre l’epigenetica e parlare, così, del lavoro svolto da un gruppo di ricerca dell’Università della California. Con loro torniamo a parlare di CRISPR/Cas9, il più incredibile strumento di ingegneria genetica mai sviluppato, grazie al quale è possibile modificare con precisione una sequenza di DNA. Tuttavia, il lavoro introduce un aspetto rivoluzionario: non parliamo più di modifiche genetiche, ma epigenetiche. Lo strumento sviluppato da Nuñez et al. si chiama CRISPRoff ed è un modificatore epigenetico programmabile in grado di metilare il DNA: riconosce sequenze specifiche di DNA, ma, anziché indurre modifiche, innesca la metilazione di un gene con lo scopo di reprimere la sua espressione. Queste modifiche vengono mantenute con la divisione cellulare e nel processo di differenziamento cellulare; uno strumento complementare chiamato CRISPRon è in grado di riattivare le sequenze represse rendendo, così, reversibile l’operazione di ingegneria genetica.
L’epigenoma – che di fatto regola l’espressione genica della cellula – gioca un ruolo fondamentale in molte patologie, dalle infezioni virali al cancro, e poterlo alterare attraverso CRISPRoff è la base per terapie geniche molto promettenti. Inoltre, data la reversibilità della procedura, lo strumento garantisce una maggior sicurezza rispetto al tradizionale CRISPR/Cas9 che ha sempre il rischio, seppure contenuto, di generare modifiche indesiderate e potenzialmente pericolose al genoma.
Se CRISPR/Cas9 può modificare il DNA di una cellula, CRISPRoff può modificare la sua regolazione alterando la sua “memoria”, un po’ come faceva Dominic Cobb in Inception di Nolan. Entrambe le modifiche sono ereditabili, perché controllare l’epigenoma significa agire non solo sulla cellula trattata ma anche sulle successive 450 generazioni. Tuttavia, questo nuovo strumento non modifica in nessun modo il corredo genetico dei suoi bersagli. Le applicazioni che ne derivano sono moltissime e ancora da esplorare, ma ancora una volta la tecnologia CRISPR – che nell’ultimo anno è valsa il premio Nobel a Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier – si conferma un motore biotecnologico rivoluzionario e inarrestabile.
Ringrazio Stefania F. che ha dato un senso ai miei vaneggiamenti durante la stesura di questo articolo.
Questo articolo fa parte della rubrica I figli di Dolly