La Società Italiana di Pneumologia lancia l’allarme sul Covid-19: il 30% dei pazienti che guariscono avrà problemi respiratori cronici dovuti alle cicatrici causate dall’infezione. La fibrosi polmonare non guarisce da sola e la compromissione respiratoria è irreversibile: una terapia rigenerativa con cellule staminali può risolvere questa nuova emergente malattia?
La rigenerazione dei tessuti a seguito di un danno è un processo di auto-guarigione che funziona meglio o peggio a seconda del tessuto colpito e delle condizioni del paziente. Le cellule staminali possono essere uno strumento utile a potenziare la naturale capacità di guarigione, in virtù del rilascio di molecole che stimolano la migrazione e la proliferazione cellulare e il rimodellamento delle matrici del tessuto. Il danno provocato agli alveoli polmonari durante l’infezione da Coronavirus può beneficiare di una terapia rigenerativa, oltre che dell’effetto anti-infiammatorio per il quale le cellule mesenchimali (una sottopopolazione di cellule staminali) sono tanto apprezzate.
La sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) include tre fasi: essudativa, proliferativa, fibrotica; rappresentano il tentativo dei polmoni – destinato a fallire – di rispondere all’insulto e la terapia con cellule mesenchimali può aver senso a patto di individuare la tempistica corretta. A tal proposito, il principe ereditario dell’Emirato di Abu Dhabi Mohamed bin Zayed ha ordinato il pagamento dei costi delle terapie cellulari su tutti i casi critici di Covid-19, finanziando uno studio su una terapia inalatoria su 73 pazienti, ma qual è lo stato attuale della ricerca?
Cellule staminali e ARDS nella letteratura scientifica
Appena è esplosa l’epidemia da coronavirus, l’industria delle cellule staminali si è accesa per trovare spazio terapeutico in modo da offrire il suo expertise. Purtroppo, allo stato attuale, i risultati non sono incoraggianti: ci sono 16 clinical trial registrati per il trattamento dell’ARDS con le cellule staminali, di cui 5 pubblicati. Per riassumere i risultati, da questi studi emerge che la terapia è sicura e senza effetti avversi, ma non c’è un miglioramento clinico statisticamente significativo nei pazienti. Il lavoro costruito con più solidità appartiene al gruppo di Michael Matthay, dell’Università della California a San Francisco che ha potuto svolgere uno studio di fase I su 9 pazienti, uno studio di fase II su 60 pazienti. L’outcome sui pazienti, trattati durante la fase essudativa della malattia, è stato misurato con i giorni senza ventilazione, la pressione positiva di fine espirazione, e altri parametri respiratori. I risultati non hanno mostrato differenze tra il gruppo trattato con cellule staminali (infusione di 10 milioni di cellule / kg da fonte allogenica di midollo osseo) rispetto a chi ha ricevuto il placebo (una somministrazione senza effetto farmacologico). I ricercatori, tuttavia, hanno dovuto rilevare che la vitalità delle cellule iniettate era molto variabile tra un paziente e l’altro.
Bisogna ammettere che l’entusiasmo sulle cellule staminali è spesso impaziente di vedere i risultati e si macchia dell’imbarazzo di essere una panacea universale che guarisce il 100% dei casi.
Nel frattempo, ci sono altri studi in corso: uno sempre ad opera del gruppo di Matthay (uno secondo studio di fase II su 120 pazienti) e un altro appartenente ad un gruppo inglese (su 75 pazienti). Nel pieno dell’emergenza Covid-19, sono stati registrati 44 nuovi trial per valutare l’efficacia delle terapia cellulari e i ricercatori chiedono agli enti regolatori di approvare studi su larga scala approfittando del finanziamento di 30 milioni di dollari del National Institute of Health che scadrà nel 2020. Qualcun’altro, in Italia, getta invece lo sguardo sulla potenziale efficacia del secretoma (il contenuto di rilascio delle cellule mesenchimali) liofilizzato.
L’incubo del coronavirus e la favola delle cellule staminali
L’apparente fallacia delle terapia cellulari nel trattamento dell’ARDS va imputata principalmente a due fattori. Il primo è di natura statistica: gli studi alle nostre spalle raccolgono un limitato numero di campioni che forse non è sufficiente a evidenziare le differenze tra i pazienti trattati. La catastrofe che stiamo vivendo, però, fornisce una magra consolazione: un elevato numero di soggetti candidabili agli studi. Nel momento in cui scrivo l’articolo ci sono 8 milioni di casi confermati nel mondo, di cui 4 milioni guariti e oltre 400 mila deceduti. Se applichiamo la percentuale della Società Italiana di Pneumologia, abbiamo numeri sufficienti per soddisfare ogni criterio statistico.
L’altro problema, però, è dovuto alla complessità della patologia. L’ARDS ha un’alta mortalità e quella causata da Coronavirus ha completamente spiazzato le terapie intensive di tutto il mondo. L’insulto ai polmoni è il vero nemico di questa nuova malattia in grado di uccidere chi si infetta e che mette in serio pericolo anche coloro che guariscono dall’infezione, ma non dalla fibrosi polmonare. Bisogna ammettere che l’entusiasmo sulle cellule staminali è spesso impaziente di vedere i risultati e si macchia dell’imbarazzo di essere una panacea universale che guarisce il 100% dei casi. Se le terapie verranno somministrate in maniera compassionevole senza controlli e disegni di studio appropriati non conosceremo mai la reale efficacia e getteremo immeritata oscurità sulla medicina rigenerativa. Confidiamo che la terapia cellulare possa aiutare le persone a guarire da questo nuovo male inaspettato, sperando che quella per le staminali non sia la solita ossessione.
Questo articolo fa parte della rubrica Il fuoco di Prometeo